a cura della dott.ssa Annapaola Bausano
Con sentenza n. 18413/2022, la IV sezione della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, esemplificando quali elementi determinano la “colpa di organizzazione”.
La pronuncia rileva l’incidente verificatosi in un’azienda cartotecnica a danno di una dipendente che si infortunava ad una mano durante una procedura di riposizionamento del cartone, dal momento che questo non scorreva in modo adeguato nella macchina piegatrice in uso. A seguito di quanto occorso, la società veniva ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo ex art. 25 septies co. 3 d.lgs. 231/2001 poiché, sosteneva la Corte d’appello di Venezia, confermando la decisione del Tribunale di Vicenza, l’evento si era realizzato per la mancanza di un Modello Organizzativo e di un organo che vigilasse sui sistemi di sicurezza delle macchine.
Sul punto la Corte osserva che la responsabilità in capo al soggetto collettivo sorge qualora ricorrano i criteri d’imputazione soggettiva ed oggettiva, di cui agli artt. 5,6,7 d. lgs 231/2001. Invero, si richiede, oltre alla realizzazione di un reato presupposto da parte di un soggetto qualificato, sia esso apicale o subordinato, che la persona fisica abbia agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Pertanto, in prima battuta, deve sussistere il cosiddetto “rapporto di immedesimazione organica” tra il soggetto ritenuto responsabile del reato e la società. Solo a posteriori, si indaga sulla natura della condotta posta in essere; più precisamente, si deve accertare che la finalità dell’azione posta in essere dal soggetto agente è volta a soddisfare un interesse (valutabile ex ante) o un vantaggio (valutabile ex post) dell’ente.
Al fine di evitare di muovere un rimprovero alla società in chiave spiccatamente solo oggettiva, si è stabilito che deve sussistere, quale elemento determinante, “la colpa di organizzazione”, espressione di una politica aziendale deviante. È necessario accertare che la condotta del soggetto agente deve essere la condicio sine qua non di uno specifico assetto organizzativo negligente dell’impresa. Deve verificarsi “la violazione colpevole
della regola cautelare” da parte dell’ente stesso attraverso la mancata adozione o rispetto degli standard di sicurezza previsti, spiega il Collegio. Nasce l’esigenza, quindi, di provare, motivando in modo certo, oltre ogni ragionevole dubbio, la colpa dell’organizzazione.
Non è sufficiente, alla luce di ciò, rilevare la mancanza di un Modello Organizzativo senza evidenziare, dettagliatamente, in cosa sarebbe consistita la colpa di organizzazione e né tanto meno è sufficiente l’atteggiamento soggettivo colposo dell’agente tale da far traslare automaticamente la responsabilità in capo alla società. Quest’ultimo si spiega in quanto l’ente risponde di un illecito diverso seppure derivante dallo stesso reato commesso dalla persona fisica; deve sussistere l’imprescindibile nesso causale tra il reato presupposto e la colpa di organizzazione. La Corte arriva così a illustrare, nel caso di specie, sulla base dell’impianto accusatorio, che le dotazioni di sicurezza e i controlli del macchinario sul quale è occorso l’infortunio riguardano profili di responsabilità del datore di lavoro ovvero profili di colpa degli amministratori della società, nulla hanno con riguardo alla colpa di organizzazione. Sottolinea che la mancata adozione ed efficace attuazione del MOG 231, che rappresenta sicuramente la normalizzazione di regole interne adottate al fine di contenere i rischi reato generalmente connessi all’attività aziendale, non è sufficiente per poter fondare un giudizio di rimproverabilità alla società medesima: occorre stigmatizzare le violazioni e quindi le omissioni poste in essere dal soggetto collettivo.
Per i motivi anzidetti, il Collegio conclude accogliendo il ricorso della società, rilevando, tra l’altro, una non corretta indicazione circa le competenze e funzioni dell’ODV, cui vengono dati compiti di gestione della sicurezza che non rientrano tra quelli indicati dall’art. 6 d.lgs. 231/2001. L’Organismo di Vigilanza è tenuto a vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli ovvero a curarne l’aggiornamento.
Orbene, dalla lettura della sentenza si evince che la Cassazione ha voluto porre un argine nella prassi alla proliferazione di addebiti in capo alla società per ogni reato che venga a consumarsi all’interno della stessa ovvero reati inseriti nel catalogo della 231. Essa ha inteso fornire un indirizzo da seguire: i giudici del rinvio, infatti, dovranno verificare se l’infortunio si sia verificato per un’effettiva mancanza di cautele da parte della società che hanno determinato le condizioni di verificazione del reato. Bisogna indagare su quegli elementi che, gli uni insieme agli altri, delimitano la colpa di organizzazione. Non è corretto muovere un rimprovero nei confronti dell’ente solo ed esclusivamente per l’assenza di un MOG. Attenzione, ciò non significa che la predisposizione dello stesso sia vana. Invero, il Modello organizzativo è uno strumento importante di profilazione di rischi specifichi legati all’attività aziendale e di prevenzione nella commissione di reati. Inoltre, qualora venga adottato ed efficacemente attuato, può esonerare l’ente da responsabilità. Il punto che qui viene affrontato dalla Cassazione è però ben diverso; non si discute sull’adozione o meno del Modello bensì su una corretta interpretazione di responsabilità da reato in capo alla persona giuridica. Responsabilità collegata al non aver prestato la dovuta attenzione e diligenza nell’applicazione di disposizioni obbligatorie. Ed è questa eventuale omissione di cui la IV Corte di Cassazione ne chiede prova ai giudici del rinvio ovvero quale sia stato l’interesse dell’ente rapportato alla mancanza di un modello organizzativo. Si chiede, appunto, di motivare in punto di fatto, attraverso un ragionamento logico-deduttivo, quali lacune e manchevolezze era incorso l’ente.
Come infatti affermato nella sentenza Thyssenkrupp, la società è responsabile per fatto proprio per cui sarà chiamata a rispondere di illecito commesso da determinati soggetti solo quando la mancanza o inadeguatezza delle cautele abbiano consentito a tali soggetti di tenere condotte delittuose. Ed è proprio questa spiegazione che è venuta a mancare nel caso che ci occupa.
In conclusione, è su tale falsariga che dovranno muoversi i giudici del rinvio, cristallizzando quel difetto gestionale, qualora esistente, che abbia determinato l’infortunio della
dipendente.